Condividiamo la lettera che segue e che ci è capitato di leggere.
Ancora una riflessione sui social a cui vogliamo fare una premessa. E’ veramente un piacere sentire l’alleanza educativa con tanti dei genitori della nostra scuola con cui camminiamo insieme. Anche quello che viene di seguito raccontato è però realtà.
CARI GENITORI, ABBIAMO BISOGNO DI VOI.
Certo, penserà chi legge. La scuola è un cammino che vede gli educatori insieme, genitori ed insegnanti. Entrambi coinvolti nella stessa sfida educativa. Il mio sfogo di oggi riguarda però un aspetto preciso della vita dei ragazzi: i meravigliosi e dannatissimi social.
Sono insegnante di scuola media e, ogni anno di più, mi trovo volentieri impegnata nell’educazione all’uso delle tante app che i nostri ragazzi hanno fatto entrare nel loro quotidiano. Nei consigli di classe progettiamo percorsi, per conoscerne pregi e limiti, per coltivare la responsabilità, stiliamo insieme ai ragazzi regole di comportamento responsabile nella vita online, promuoviamo incontri con esperti, con la Polizia delle comunicazioni per mettere all’erta sui pericoli. Poi immancabilmente ogni anno ci troviamo a gestire faticosamente litigi che nascono nelle chat di gruppo, a cercare di ricostruire relazioni che si incrinano per video su tik tok (pubblici!) che riprendono amiche che ora non sono più tali, per i compiti che sempre qualcuno chiede di condividere sul gruppo wa della classe. Ci troviamo ad ascoltare chi è combattuto tra il desiderio di mantenere gli amici e quello di denunciare a un adulto che qualcosa non va. Nuove sfide su cui vale la pena di spendere del tempo perché è urgente educare. E ci metto, insieme ai colleghi, tutta la mia energia e la competenza che cerco di costruire. Ecco: posso, possiamo fare questo a scuola.
Insieme alla famiglia. Che ha un’arma (pacifica) in più: può insegnare “in diretta” a stare nella rete. Può guardare insieme al figlio pezzetti della sua vita online, può mostrare il desiderio e il diritto di conoscerla per parlarne, per indicarne gli eventuali pericoli. Può segnalare un messaggio offensivo, può discutere la responsabilità di un “No, io non lo faccio”, può verificare insieme la sicurezza e una corretta impostazione della privacy.
Ci scontriamo, invece, con chat di classe che hanno per amministratori “bambini” – nella rete sono tali – di 11/ 12/13 anni, apriamo tik tok e troviamo qualche nostro alunno , neanche nascosto dietro nik name introvabili, con quantità di video che li riprendono, o li riprendono insieme ai compagni, in profili pubblici, leggiamo compiti “duplicati”. Storie di sempre, vien da pensare. I bigliettini offensivi, tanto per fare un esempio, hanno fatto parte anche dei nostri tempi. Certo. Ciò che cambia oggi è la “dimensione” di tutta la faccenda: velocità, protagonisti sempre più piccoli, spettatore il mondo.
Ma ecco che alcuni genitori scendono in campo. Perché? Per lamentarsi con la scuola, per raccontare di figli esclusi dalle chat, di altri compagni riammessi, di offese; ci chiedono attenzione, indagini a caccia di colpevoli sempre “altri”. Ci chiedono di gestire le relazioni di classe. No. Non è il momento per scaricare responsabilità, per attribuire colpe. Ho, come genitore, chiacchierato con mio figlio e verificato che la chat di classe abbia un amministratore responsabile a cui rivolgersi? Ho stabilito con lui regole per l’utilizzo di uno smartphone? Ho vigilato con lui sulla privacy? Ho discusso sul tempo che può dedicare allo smartphone? Gli chiedo di lasciarlo a casa se la scuola ne vieta l’uso? Coltivo le “relazioni reali” di mio figlio? E tanto altro ancora…
La scuola, nel frattempo, continuerà ad educare.
Scusate lo sfogo, ma ci sono compiti che spettano alla famiglia, altri alla scuola.
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